Tutto da rifare. Malgrado il vertice che si è tenuto domenica a casa della premier Giorgia Meloni, nel governo si continua a litigare sugli emendamenti alla manovra 2025, con Lega e Forza Italia che continuano ad andare per la loro strada, l’ultimo scoglio è i famigerato sconto sul canone Rai, che la Lega vorrebbe confermare a 70 euro mentre nella Legge di Bilancio è previsto che torni a 90 euro. Per il partito di Antonio Tajani si tratta di una mossa per affossare la televisione pubblica, già debilitata da un forte calo di ascolti. Il Carroccio ha riproposto il taglio in un emendamento al Dl fiscale che gli azzurri chiedono di ritirare. Il ministro Giancarlo Giorgetti, dal canto suo, spalanca le braccia e si affida al voto in commissione Bilancio di Palazzo Madama, dove tutto si è arenato.
Gasparri (Fi): “Il taglio del canone Rai non serve a niente”
“Il taglio del canine Rai – ha spiegato il capogruppo di Forza Italia, Maurizio Gasparri, durante la trasmissione ‘Un giorno da pecora’ – non serve a niente. Noi non siamo d’accordo, perché se fai il taglio poi si danno alla Rai 400 milioni che sono dei cittadini, quindi se non è zuppa è pan bagnato”. Sulla stessa linea il senatore azzurro Dario Damiani, che attacca: “Nel vertice di ieri è stato chiesto che i temi divisivi vengano accantonati e messi da parte. È stato sancito ieri dal vertice stesso che il tema del canone Rai è divisivo. Noi continuiamo a manifestare la nostra contrarietà, perché se abbassi il canone Rai sempre dai cittadini devi prendere i 430 milioni di euro. La Lega ritiri l’emendamento”.
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Le opposizioni, intanto, attaccano. “Sulla Rai – tuonano i componenti in quota Partito Democratico della commissione di vigilanza sulla Rai – la maggioranza appare completamente divisa: da una parte c’è chi vuole occuparla (FdI), dall’altra chi desidera affossarla (Lega), mentre Forza Italia sembra preoccupata solo di non perdere spazi pubblicitari. Nessuno, però, si sta realmente occupando dell’azienda, degli ascolti, della pubblicità o della qualità dell’informazione. Né si affronta seriamente il tema della trasformazione della Rai da broadcaster a digital media company, né si considerano i 12.000 dipendenti che vi lavorano. È importante ricordare che il servizio pubblico è finanziato dai cittadini attraverso il canone”. La palla torna ora alla premier, che dovrà provare a mettere la parola fine alla disputa.