Fabrizio Gatti
Direttore editoriale per gli approfondimenti
25 dicembre 2024 06:59
Il titolo c’entra, ma ne parliamo in fondo. Cominciamo da Matteo Salvini. È una fortuna che il Tribunale di Palermo lo abbia assolto. Ed è la prima cosa buona. Per una ragione, secondo la mia opinione, strettamente giuridica: non è accettabile che in una democrazia le scelte politiche di un governo intero o di un singolo ministro, piacciano o no, siano sottoposte al giudizio penale di un Tribunale. E la decisione di non far sbarcare i migranti dalla nave di soccorso privato Open Arms era senza dubbio una scelta politica. Tocca agli elettori giudicare. Non ai magistrati.
Era l’estate del 2019. Feriti, malati gravi, donne e bambini erano stati portati a terra. Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno nel primo governo di Giuseppe Conte con il Movimento 5Stelle, si era invece opposto alla decisione unilaterale dell’organizzazione spagnola, proprietaria della nave, di far arrivare le persone a bordo direttamente in Italia. Dal primo agosto di quell’anno erano state raccolte in acque internazionali da più barche in difficoltà e, se davvero le condizioni erano così drammatiche, i soccorritori avrebbero potuto richiedere il loro sbarco ai governi di Tunisia, Malta, Francia o Spagna (bandiera della nave Open Arms). Visto che l’Italia aveva già comunicato la chiusura dei suoi porti.
Tre cose buone: a cominciare dall’assoluzione di Salvini
La solidarietà in mare è doverosa e l’operazione di soccorso deve concludersi con lo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino. Ma se questo porto è sempre e solamente un porto italiano, perché al governo c’è Matteo Salvini, è legittimo concludere che quelle di Open Arms e di tante altre Ong siano non soltanto doverose operazioni di soccorso, ma anche puro attivismo politico. Al quale l’allora ministro dell’Interno Salvini ha risposto con un rifiuto altrettanto politico.
Se c’è qualcuno che ha tenuto a bordo i naufraghi per giorni, rinunciando a cercare un’alternativa al porto italiano, è piuttosto l’equipaggio della nave. Sarebbe invece meraviglioso che le organizzazioni non governative cominciassero finalmente a dirottare i milioni dei loro bilanci verso quel mare di sabbia che sono il deserto del Sahara e la regione del Sahel. E prevenire così l’arrivo di decine di migliaia di persone in Libia, disposte a correre il rischio di essere imprigionate e schiavizzate pur di sbarcare in Europa.
Perché spendere soldi in mare rende molto di più
Invece di noleggiare costosissime navi, con gli stessi soldi queste Ong potrebbero aprire decine di scuole, avviare centri di formazione al lavoro, assumere insegnanti (che in Africa costano molto meno di un comandante o un equipaggio della marina mercantile). E provare a convincere i governi europei che, di fronte alla drammatica crisi demografica, andrebbero incentivati gli ingressi regolari di persone competenti, in grado di lavorare e vivere subito da cittadini. Non da assistiti. Ma operare nel silenzio del deserto e nei lontani luoghi d’origine – come decine di Ong anche italiane fanno da decenni, fuori dalla luce dei riflettori – è sicuramente meno scenografico. E quindi emotivamente meno redditizio, in termini di donazioni e sottoscrizioni.
L’intransigenza di Matteo Salvini e l’ottusità di molte organizzazioni non governative, che pretendono di fare la rivoluzione (delle norme) usando le teste dei profughi come ariete, non sono altro che due facce della stessa medaglia: rappresentano quella retorica ideologica che da vent’anni distoglie risorse da ogni progetto umano e imprenditoriale, a favore di uno sterile approccio tra buoni e cattivi, in base al proprio schieramento di appartenenza. I commenti di alcuni attivisti, come Luca Casarini, dopo l’assoluzione di Salvini lo confermano. Dovremo leggere le motivazione del Tribunale di Palermo, quando saranno depositate. Ma almeno i giudici hanno avuto l’intelligenza di non cascare nella trappola.
L’imprenditore compra casa per i suoi dipendenti
Le altre due cose buone ci portano in Piemonte. Andiamo prima a Villanova di Mondovì in provincia di Cuneo, dove il tasso di disoccupazione è del 3,7 per cento soltanto. E dove l’imprenditore Paolo Giuggia – come raccontano i giornali locali – ha deciso di comprare un palazzo per dare alloggio ai suoi dipendenti. Per il loro accento, o per le sfumature della loro pelle, non trovano proprietari disposti ad affittare loro casa. Così, fino a oggi, l’amministratore delegato della Giuggia Costruzioni, che realizza case ma anche infrastrutture, ha svenato il bilancio prendendo in affitto interi alberghi. Ora ha deciso di comprare un immobile perché il suo personale (che ha uno stipendio e paga le tasse) possa avere un tetto. Siamo nella regione di Adriano Olivetti. Dove sanno bene che, senza investimento sulle persone, qualsiasi progetto può soltanto fallire.
Chi è Daisy Osakue, la militare della Guardia di finanza
Ci spostiamo quindi all’Apple Store di Torino, durante lo shopping natalizio. Dopo aver preso un adattatore per il suo iPhone al primo piano e dovendo fare altri acquisti, Daisy Osakue, 28 anni, è uscita dal reparto contando di pagare alla cassa al piano terra. Lo stesso stavano facendo altri clienti. La differenza è che gli altri erano visi pallidi. E l’addetto alla sicurezza, sospettando che fosse una ladra, ha fermato soltanto lei: sicuramente per il suo aspetto apparentemente africano. Non poteva immaginare che si trattasse di una militare della Guardia di finanza, oltre che della primatista italiana nel lancio del disco e ottava classificata alle Olimpiadi di Parigi.
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Sempre le cronache locali rivelano che anche l’addetto alla sicurezza aveva la pelle nera. Daisy Osakue, nata a Torino, ha raccontato il suo disappunto su Instagram. Speriamo – come terza e ultima buona azione – che il comandante del corpo, il generale Andrea De Gennaro, non la punisca per aver espresso il suo pensiero senza autorizzazione. Perché la finanziera Daisy Osakue, l’imprenditore Paolo Giuggia e anche i giudici di Palermo sono indispensabili alla costruzione dell’Italia che verrà. Buon Natale.
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