A parte la strada, che è stata ripulita, tutto attorno è un campo minato. Un enorme campo minato. Ci si arriva da Mykolaiv, di corsa, a Pavlo Maryanivka. Si corre sempre in Ucraina. La jeep è guidata da Ratmir Gavelia, un militare che si è guadagnato grande rispetto sul campo di battaglia e che qui è pure un riferimento spirituale. Protestante, oltre che uomo d’azione, è anche cappellano militare delle forze di difesa dell’Oblast di Mykolaiv. “È questa la pace di cui parla Putin. Eccola, tutta attorno a te”. Di cose rimaste in piedi se ne contano sulle dita. E anche quelle sono seriamente danneggiate. Come le case di chi lì ancora ci abita. Non è solo di morte e distruzione che si parla, quello che si percepisce è crudeltà. E lo si legge negli occhi delle persone che non hanno potuto fare altro che rimanere qui, sperando di essere liberate.
Lo sminamento dei campi affidato a donne e ragazze
È con Ratmir Gavelia che ci spingiamo fino a dove poco tempo fa c’erano i soldati russi. Chi ha potuto è fuggito, ma chi è rimasto ha subito violenze tali che hanno segnato indelebilmente le loro vite. Lungo il percorso incontriamo squadre di sminatori e sminatrici, che sono la maggioranza. Hanno macchinari appositi per far esplodere gli ordigni. Il problema è che le mine non sono solo nei campi (foto sotto), ma anche tra gli alberi che delimitano i terreni da coltivare. Uno dei motivi per cui è difficile scaldarsi qui, dove al nostro arrivo il termometro segna meno sei gradi quando sono quasi le undici del mattino: non si può neppure tagliare la legna degli alberi, perché si rischia di saltare per aria. Poi sono talmente tante che già per quelle che ci sono, ci vorranno anni a rimuoverle o a renderle inoffensive.
Anche a Partyzanske, una quindicina di km a sud, la situazione è come a Pavlo Maryanivka. Una specie di luogo fantasma. Spunta tra la nebbia, poco è rimasto in piedi. Donne e uomini, soprattutto anziani, si occupano di tutto in una specie di municipio improvvisato. Sui visi delle donne più giovani ci sono le espressioni spente di chi ha pagato un prezzo ancora più caro. Hanno gli stessi sguardi delle donne ezide o curde abusate dai tagliagole dell’Isis in Siria e in Iraq. “I soldati russi durante l’occupazione rubavano tutto ed entravano nelle case a violentare le donne, come se nulla fosse. Ci sono ragazze che hanno subito questo tipo di trattamento in modo reiterato, continuo. Ogni sera per mesi”.
Droni e razzi: la minaccia dalla zona occupata di Cherson
Questi sono i posti dove ha combattuto, e contribuito a liberare, il cappellano. Cammina sempre di fronte a noi, ci mostra ciò che rimane di missili e ordigni che sono piovuti qui. “Quello è ciò che resta di una bomba al fosforo, vietata da ogni convenzione internazionale. Ma non prendiamoci in giro, parlare di regole in guerra è complicato. Qui però stiamo parlando di civili. Vedi obiettivi militari?”. Dove camminiamo era front line fino a meno di un anno fa e ancora adesso la vita non è proprio tranquilla. I droni sono un pericolo costante, ma vengono sparati qui anche missili e razzi dalle zone occupate di Cherson, che è poco lontano (nella foto sotto di Ivan Compasso, una casa bombardata a Blahodatne).
Per Ratmir Gavelia, un omone grande dagli occhi vispi (nella foto sotto), è inspiegabile come nel vecchio continente il leader russo Vladimir Putin goda ancora di tanto credito e di ammiratori. “Putin è popolare in Europa? Anche Hitler lo era, forse in tanti se lo dimenticano. Ed è stata la pagina più buia della storia europea. Che mondo è quello in cui chi uccide, distrugge, stupra, è popolare. Che cosa stiamo diventando se accettiamo e anzi addirittura elogiamo chi fa questo”. Un passato da avvocato, è proprio in Russia che ha studiato per diventarlo. Una carriera che è stata interrotta proprio con questa nuova fase del conflitto. “Sono dieci anni che si combatte in questo Paese, non tre come dice chi si vuole alleggerire la coscienza e che spera che sia in dirittura d’arrivo”. Anche a Partyzanske è tutto un camminare sopra le macerie (nella mappa sotto, le zone del reportage di Ivan Compasso).
I bimbi ucraini spariti nel nulla: nessuno sa quanti sono
“Nessuno di noi, te lo assicuro, prova piacere a uccidere i russi. Ne faremmo tutti volentieri a meno. Non per questo però possiamo permettere che ci uccidano loro, che entrino nelle nostre case saccheggiandole e violentando le donne, rapendo i bambini. Sono centinaia e centinaia quelli scomparsi in questa guerra, portati via dalle loro famiglie. Non sto riferendomi a quelli che hanno perso la vita sotto le bombe, che sono tantissimi ugualmente. Mi sto riferendo a quelli che sono stati rapiti e dei quali non si ha più notizia. Un altro grave crimine di guerra, che si aggiunge all’elenco di quelli commessi. Tutte cose inaccettabili, a maggior ragione nel 2024 – ci dice il cappellano – E credo che neppure quando termineranno le ostilità si potrà davvero fare un conto di quanti fanciulli ucraini sono spariti”.
Camminiamo con lui per le strade di Partyzanske con grande circospezione. “Tieni sempre i piedi dove c’è asfalto, quel poco che è rimasto. E stai dietro di me, segui i miei passi”, dice portandoci in mezzo alle macerie. “Ci vorranno anni per togliere tutte queste mine”, ci dice Gavelia mentre arriviamo a Blahodatne. Qui è peggio che nei villaggi precedenti. Sono ancora più evidenti i segni della battaglia. È tutto raso al suolo. Un uomo ci viene incontro e non gli par vero di vedere qualcuno. È chiaro fin da subito che a lui compagnia gliela fa la vodka. Non si incontra nessun altro. Se nei villaggi precedenti qualcuno lo abbiamo visto, qui è davvero la fine del mondo. C’è ancora odore di bruciato e una puzza strana.
Il cappellano Ratmir Gavelia: “Continueremo a combattere”
“Ho studiato in Russia, ho amici russi. Ne avevo almeno. Ma un americano io non lo avevo mai incontrato. Nessuno in vita mia, prima che ormai tre anni fa le forze speciali russe hanno provato a prendersi le nostre città”. Si ferma e indica un blindato russo andato a fuoco. “C’è tanta propaganda, troppa, che condiziona tante persone anche in Europa, che falsa quella che è la realtà. Questo ci dice che a maggior ragione non possiamo permetterci di smettere di combattere, di arrenderci. La guerra non finirà a breve a meno che Putin e i suoi non decidano di fare retromarcia e andarsene. Ma fino ad allora, fino a quando le nostre case e la nostra terra non saranno liberate – promette Ratmir Gavelia – noi continueremo a combattere”.
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